Pubblichiamo di seguito una riflessione del Prof. Lucio Sibilia (Presidente del CRP).
Il 10 ottobre di ogni anno si celebra la “Giornata mondiale della salute mentale” oggi considerata una componente essenziale della salute tout court: “non c’è salute senza salute mentale” recitava infatti uno slogan adottato fin dagli anni 2000.
La prevenzione dei disturbi mentali, da quanto ne sappiamo tutt’oggi, o meglio ancora la piena salute mentale non è da concepirsi come la semplice assenza di disturbi psichici, ma uno stato di benessere emotivo e di resistenza agli stress. Non solo, ma non può essere realizzata tramite un singolo intervento o programma, bensì attraverso un insieme di provvedimenti di varia natura: legislativi, educativi, politici, sanitari, sociali in senso lato. Infatti, si tratta di promuovere fattori di protezione e di crescita dell’equilibrio e del benessere emotivo del cittadino, nonché di ridurre quei fattori di rischio di stress psicosociali rilevanti per la salute mentale, in particolare dei giovani.
La vita mentalmente sana, cioè in massima parte libera da stress eccessivi, in un contesto sociale affettivamente e culturalmente coeso e non sottoposta a minacce alla sicurezza personale, quindi con libero accesso alle risorse tipiche della propria socio-cultura (dalle scuole, al lavoro, agli impianti sportivi, al credito, ecc.), non è una condizione inattingibile, ma rappresenta la migliore premessa per lo sviluppo di personalità resilienti a quei colpi della vita che sono i fattori promotori e scatenanti dei disturbi psichici.
In particolare, la ricerca ci dice che vi sono maggiori probabilità che un giovane cresca mentalmente in buona salute se:
- il clima familiare è coeso e protettivo, scevro da conflitti o esistono modelli validi di risoluzione dei conflitti intrafamiliari,
- la prima infanzia non si svolge in condizioni di deprivazione economica e sociale, ma è assicurata la soddisfazione dei bisogni primari ed affettivi,
- la socializzazione si svolge in una comunità in cui non vi sono gravi pregiudizi né conflitti sociali di sorta,
- la scolarizzazione è assicurata per tutti almeno fino a 14 anni,
- l’accesso della famiglia al credito non è ostacolato da politiche economiche restrittive del governo,
- l’assistenza sanitaria è garantita a tutte le età e indipendentemente dal reddito familiare,
- le armi da fuoco non sono facilmente reperibili da tutti senza restrizioni, ma sono strettamente regolamentate,
- esiste e viene rispettata la libertà dei giovani di scegliere il proprio percorso formativo e lavorativo,
- le condizioni di lavoro sono tali da assicurare sempre al lavoratore un supporto in caso di difficoltà.
La presenza di condizioni come quelle qui sopra accennate, secondo A. Antonovski, realizza nella popolazione un alto senso di coerenza, in cui l’autore individua tre caratteristiche psicosociali di base: a) il sentimento che il mondo sia in ampia misura comprensibile e significativo, b) il futuro sia sufficientemente prevedibile e controllabile, e che c) le cose si concluderanno all’incirca come è previsto nella propria sociocultura.
Quando accade qualche evento smentisce queste aspettative si può creare nel soggetto una condizione di stress detto “traumatico” nei casi peggiori, che può aprire la porta a disturbi emotivi della più varia natura, dalle depressioni ai disturbi d’ansia, che si manifestano inizialmente come forti stati emotivi negativi e agitazione.
Non si tratta soltanto quindi di “combattere stigma e discriminazioni”, come recita la pagina di Wikipedia sulla Giornata mondiale della salute mentale, o di favorire l’“inclusione”, come recitano i mantra del mainstream, ma anche di aumentare la conspevolezza dei fattori che aumentano le chances di crescere in salute, cioè i fattori di protezione psicosociali, per consentire di potenziarli quando possibile ed utilizzarli, e così evitare i già noti fattori di rischio o attenuarli con appositi progetti e/o disposizioni di legge.
Una sana alimentazione, corretti stili di vita e la riduzione dell’impatto del fumo su salute e ambiente sono da molto tempo stati gli obiettivi per la prevenzione delle malattie fisiche. Ma, nel campo della promozione della salute mentale, gli obiettivi non sono così semplici. Alcuni obiettivi derivano dalla inversione dei fattori di rischio, come ad esempio la carente socialità, che è una dimensione essenziale della natura umana.
Una natura la cui storia evolutiva – ben diversamente da quella di altre specie animali – ha comportato una perdita grave di funzioni essenziali, perdita che ha messo l’uomo in una posizione di inferiorità adattativa nel suo ambiente: l’uomo non ha una pelliccia sufficiente a difendersi dai freddi intensi, non corre abbastanza veloce per fuggire dai suoi predatori, non sa volare, non sa nuotare, non sa pescare senza appositi attrezzi che ha dovuto inventare e produrre.
Come le formiche, infatti, ha dovuto affidarsi ad una organizzazione sociale che potesse supplire a queste carenze. Ma diversamente dalle formiche, l’uomo ha dovuto creare organizzazioni sempre più complesse, in grado di rispondere alle più varie esigenze della vita su questo pianeta, cosa che ha comportato notevoli sforzi adattativi, cioè – in ultima analisi – notevoli stress. Comprendiamo allora perché la vicinanza di altri esseri umani costituisca uno dei principali fattori di protezione dalle noxae (fattori nocivi) e dai fattori di rischio e perché il contrasto della solitudine faccia parte di molti programmi di prevenzione dei disturbi mentali.
Ad esempio il cosiddetto sostegno sociale in tutte le sue forme (sostegno emotivo, pratico, economico ecc.), costituisce un primario fattore di promozione della salute e i comportamenti prosociali che lo consentono e lo esprimono sono tenuti in alta considerazione in quasi tutte le culture umane, essendo questi i principali veicoli di aiuto per i propri consimili in difficoltà. Viceversa, la perdita di sostegno sociale è una delle esperienze peggiori per un essere umano: non a caso il lutto è spesso fonte di dolore ed angoscia devastanti.
Questa realtà antropologica si riflette anche a livello internazionale: la stessa cosa si verifica infatti, cambiando scala, nei rapporti tra le nazioni. Lo scambio di risorse utili è alla base dei commerci, ma purtroppo, nelle ultime decadi, abbiamo visto come i rapporti tra le nazioni siano diventati più conflittuali, le guerre siano aumentate di numero e numerose risorse naturali, sociali e tecnologiche siano diventate “armi”. Per non parlare delle comuni minacce alla salute: si possono prendere ad esempio alcuni virus (modificati in laboratorio per colpire specifici gruppi sociali), ma anche i cosiddetti vaccini anti-covid a mRNA, anch’essi adattati per aggredire gruppi umani, come è accaduto nel recente periodo in totale contrasto con la loro finalità preventiva!
Di tali violenze verso le popolazioni siamo informati ogni giorno. In questo panorama conflittuale di stress di popolazione, non sorprende come risulti diffusamente aumentata nelle società odierne la dissonanza cognitiva, la sospettosità e il cinismo, e quindi venga ridotto il senso di coerenza di cui sopra.
La militarizzazione delle risorse e le recenti discutibili politiche globaliste possono essere considerate come veleni sociali, accompagnandosi a problemi di ogni sorta, quali ad esempio l’ostilità di massa, il cinismo, ovvero l’indifferenza verso le sofferenze altrui o la tragica diffusione di droghe psicotrope, che vanno a riempire esistenze deprivate di risorse e svuotate di significato, come sta accadendo, ad esempio, in molte città degli Stati Uniti.
Tra i suddetti fattori di rischio, invece, non c’è la difficoltà di vivere il proprio genere (maschile o femminile), un falso problema agitato per motivi politici, ma c’è la condizione del vivere in una società in cui si mira cinicamente solo al proprio profitto, ignorando le esigenze più specificamente e profondamente umane dei nostri consimili.
Non bisogna però pensare che una vita trascorsa in un ambiente positivo e protettivo sia di per se un fattore di salute mentale sufficiente per un giovane. In casi come questo, un trasferimento in un contesto culturale diverso o una emigrazione può tradursi in un disadattamento o in un trauma profondo cui il giovane non era preparato. Ciò che sembra invece necessario per la creazione di una condizione di resistenza ai traumi e di resilienza è l’acquisizione della capacità di fronteggiare gli stress più forti, come le perdite dei familiari o di importanti risorse che producono le incertezze gravi sul futuro.
Non a caso, alcuni tipi di condizioni traumatiche sembrano in grado di conferire al soggetto, quando superate, un carattere notevolmente resiliente. Gli individui – una volta superate queste condizioni – diventano capaci di superiori capacità di fronteggiamento degli ostacoli (dette capacità di “coping”). Si parla allora di crescita post-traumatica.
Uno dei primi esempi di ciò sono state le storie cliniche di bambini cui è stata diagnosticata qualche grave malattia oncologica: sono condizioni queste che comprendono lunghi e dolorosi iter diagnostico-terapeutici, che possono durare anche molti anni. Anni di incertezza e di angosce sia per il paziente che per la famiglia.
I progressi nelle terapie oncologiche hanno fatto sì che molti di tali casi si concludessero con guarigioni complete. In questi casi, si è notato come spesso i ragazzi dimostrino personalità più forti, più volitive e capaci di affrontare e superare ostacoli psicosociali più facilmente (talvolta anche al prezzo di risultare antipatici ai coetanei). Da una parte la condizione di stress ha “mobilizzato” le risorse personali e dall’altra i familiari hanno avuto modo di far sentire al ragazzo la loro vicinanza e sostegno con maggiore intensità.
I disturbi mentali sono quindi prevenibili e la salute mentale “migliorabile”. Si tratta di aumentare i fattori psicosociali di resistenza agli stress a vari livelli, mobilitando le risorse sociali, le capacità personali e familiari, il senso di controllo su di se e sul proprio futuro. È il cosiddetto empowerment.
Ma, al di là di questi “potenziamenti” individuali, una componente importante è la capacità del sistema sanitario di rispondere alle situazioni di crisi, con risorse professionali adeguate e diffuse sul territorio, che siano anche facilmente accessibili. Tra queste risorse vi sono senz’altro le capacità degli psicoterapeuti di adottare e praticare psicoterapie efficaci, che possano aiutare le persone ad uscire dalle proprie condizioni di difficoltà psicologica e recuperare quindi nuove prospettive o abilità, magari con un equilibrio diverso da quello pre-crisi. Per far conoscere tali terapie il Centro per la Ricerca in Psicoterapia (CRP) ha lanciato anni fa il Progetto FATE (Favorire l’Accesso alle psicoTerapie Efficaci), progetto che è tutt’ora in corso.
Lucio Sibilia
Roma, 28.9.2024