C’è ancora qualcuno che si interroga sul rapporto tra violenza nei media e aggressività e violenza giovanile. Di recente, la potente American Psychological Association (APA) ha promosso nel 2013 una nuova rianalisi delle ricerche sull’argomento, che si tradurrà in un documento atteso quest’anno.
Insinuare dei dubbi sul rapporto tra esposizione mediatica alla violenza ed aggressività nei giovani è molto sospetto. Dai risultati delle più recenti e complete rassegne e metanalisi di letteratura si conclude che ogni dubbio è stato fugato circa il rapporto tra violenza nei media (videogiochi compresi) e aggressività giovanile. Come afferma Craig A. Anderson: “exposure to violent video games is a causal risk factor for increased aggressive behavior, aggressive cognition, and aggressive affect and for decreased empathy and prosocial behavior.” L’esposizione attiva e passiva di soggetti in età evolutiva a comportamenti violenti mediata da schermi (video, TV, playstation, etc.) provoca un aumento dell’aggressività a breve termine, dell’accettazione della violenza a breve e a lungo termine, una riduzione delle capacità empatiche, ed un aumento del rischio di atti violenti ed aggressivi nelle età successive, compresi bullismo e cyberbullismo.
Per molti autori questo risultato è sufficiente per mettere una pietra tombale sui dubbi circa il rapporto tra esposizione ad atti violenza ed aggressività, come d’altra parte già previsto nelle teorie social-learning (vedi: Huesmann L. R. (2010) Nailing the Coffin Shut on Doubts That Violent Video Games Stimulate Aggression: Comment on Anderson et al. Psychological Bulletin, Vol. 136, (2):179 –181).
Anche le Associazioni dei pediatri universitari americani (PAS, Pediatric Academic Societies), riunitesi il 7 maggio di quest’anno a Vancouver, hanno concluso sull’argomento che: ‘violenza chiama violenza, anche quando all’aggressività si assiste attraverso lo schermo in un cinema, della tv o di un videogioco”.
Ovviamente, ci sono molte variabili moderanti nel senso di ridurre o amplificare questo rapporto, ma una lettura attenta e non ideologica dei risultati sperimentali porta ad una conclusione inequivoca: videogiochi e film violenti aumentano l’aggressività e la violenza nei ragazzi, con effetti anche a distanza di tempo. Basti leggere: Anderson C. et al. (2010) Violent Video Game Effects on Aggression, Empathy, and Prosocial Behavior in Eastern and Western Countries: A Meta-Analytic Review. Psychological Bulletin, Vol. 136, No. 2, 179 –181.
Anche in una nostra ricerca su alunni delle scuole di Roma (Studio “RAVAS”, di L. Sibilia e E. De Leonardis), di prossima pubblicazione, il rapporto è evidente ed è in linea con il modello teorico cognitivo-comportamentale: il comportamento violento è appreso, spesso precocemente nella vita del bambino, osservando le persone intorno ed osservando i personaggi nei film, videogiochi e TV. Inoltre, i media violenti e le esperienze di violenza agita virtualmente nei videogiochi aumentano i comportamenti spregevoli e possono provocare paura, sfiducia e incubi paurosi.
Come nel caso del fumo di tabacco, purtroppo, ci sono giganteschi interessi economici che tentano di nascondere questi effetti nocivi (il mercato dei videogiochi è miliardario); e di solito lo fanno insinuando nuovi dubbi. Non solo da parte dell’industria, ma anche di alcuni “esperti”, difensori dell’ipotesi della “necessità” dello sfogo ovvero dei benefici della “catarsi”, ipotesi che nasce dall’idea che tali comportamenti siano prodotti da una incontenibile quanto misteriosa energia interna.
Invece, il vero quesito che più conta a questo punto – a mio avviso – è il seguente: come ridurre l’esposizione dei giovani a contenuti violenti nei film e nei videogiochi ed impedire le esperienze positive di violenza virtuale nei videogiochi? Quali provvedimenti, politiche e normative possono aiutare a questo scopo?
Lucio Sibilia